MARVELIT. PRESENT:

 

Uomo Ragno

#59

 

(So many different…) Colors

 

Di Yuri N. A. Lucia

 

 

“Ce la puoi fare.”

“Ne sei certo?”

La voce di Leonard jr risuonò discretamente nell’abitacolo, carica di un’amara ironia già annunciata da un eloquente sguardo.

“Certamente,” Confermò Peter Parker sostenendo quegli occhi carichi di domande e al tempo stesso di risposte.

“Ti fidi?” Chiese il mutante in tono provocatorio.

“Delle tue capacità? Fin’ora te la sei cavata piuttosto bene. Però non è questo che intendevi, vero? Vuoi sapere se credo nella tua buona fede? Che non ti schianterai di proposito?” Sorrise e l’altro ricambiò rispondendogli, “Più o meno.”

“Potresti farlo. Si, credo proprio che potresti. Sarebbe in un certo senso una soluzione piuttosto semplice. Eviteresti di finire in prigione od ovunque tu stia andando, e dove evidentemente non ti va di andare, schiantandoti al suolo. Un istante, il tempo di chiudere gli occhi e tutto sarebbe finito.”

“Hai colto bene lo spirito.” Si complimentò tristemente il ragazzo.

Peter lo osservò bene ed incrociò le braccia sul petto. Man mano che i secondi passavano erano sempre più vicini al momento critico: l’atterraggio; meditò un po’ su quello che avrebbe dovuto dirgli e soppesò bene tutte le possibili parole da usare ma alla fine decise che, dopo tutto, essere onesti sarebbe stata la via migliore da seguire.

“Puoi farlo. Si, in qualsiasi momento ed io probabilmente non potrei farci nulla. Non gli aveva detto che il suo senso di ragno lo avrebbe avvertito se avesse tentato un numero del genere ma non aveva neanche mentito. Se all’ultimo avesse deciso di schiantarsi anche se lo avesse tolto dalla cloche non avrebbe di certo migliorato di molto la situazione. Anche ora non posso fare nulla per te. Quello che stai passando la dentro la tua testa, lo sai tu e tu solo. Se facendomi quella domanda volevi delle risposte a quello che ti angoscia purtroppo non posso accontentarti.”

“Chi ti dice che sia angosciato?”

“L’intuito. Ho fatto per anni il fotografo e certe cose le ho imparate a cogliere al volo.”

“E questa mia angoscia cosa mi porterà a fare? Mi ammazzerò con voi tutti oppure no?”

“Principio di indeterminazione di Heisenberg: non si può conoscere con esattezza la velocità e la direzione che seguirà una qualsiasi particella; il principio di indeterminazione è qualcosa che mi ha sempre spaventato, lo sai? In un certo senso il libero arbitrio gli somiglia molto. Il libero arbitrio è l’indeterminismo all’ennesima potenza.”

“Detto così sembra decisamente spaventoso. Insomma, non si può mai sapere con esattezza che cosa farà il nostro prossimo. Tu come riesci a vivere avendo questa consapevolezza?”

“Come altri miliardi di esseri umani. Tendo a non pensarci troppo.”

“Però ancora non hai risposto: credi che mi schianterò di proposito a terra uccidendo anche tutti quanti voi?”

Peter continuava a fissare quegli occhi che parevano incredibilmente stanchi.

 

 

Casa dei coniugi Parker, Forest Hill, Queens, N.Y.C. – Venerdì ore 10.00 p.m.

 

“Sono ancora fuori?” Chiese con voce ancora impastata di sonno e la bocca ancora piena della fragranza del sogno.

“Pazienti e silenziosi: come gli sciacalli.” Il tono di Mary Jane era divertito e scherzoso e questo fece sorridere Peter che stiracchiò le gambe del letto, facendo attenzione a non svegliare la piccola May, il cui capo era dolcemente poggiato contro il suo petto.

“Dorme ancora. Spero che quelli lì non si mettano a fare rumore. Ieri sembrava non volesse andare a dormire. Ho temuto che avremmo dovuto sedarla.” Le scrutò attraverso l’ombra della camera rotta solo saltuariamente dalla luce che riusciva ad insinuarsi tra le imposte, studiandone compiaciuto i lineamenti. La strinse leggermente a sé, come in risposta ad un istintivo bisogno di sincerarsi che fosse reale, che davvero si trovasse lì e lui fosse veramente nella sua camera.

“È naturale. Gli rispose la moglie, ancora intenta a tenere d’occhio i giornalisti che ostinatamente rifiutavano di abbandonare il marciapiede davanti la loro casa. Il suo adorato papà che è mancato per settimane finalmente ritorna e lei lo voleva festeggiare adeguatamente. Per il momento quelli lì se ne stanno buoni ma dubito che riusciremo ad uscire senza prima averci parlato.”

Peter borbottò qualche protesta sottovoce.

“Non so proprio cosa altro debba dirgli. Ieri mi hanno preso d’assalto. Tra l’altro i peggiori sono stati quelli del Bugle. Sapevo che avrebbero mandato qualcuno ma mi aspettavo di vedere qualche faccia amica ed invece non conoscevo né la giornalista, né il fotografo.”

“Con tutto quello che è successo i giorni passati è normale. I grossi calibri come il tuo amico Urich, saranno impegnati in qualche indagine giornalistica sui Jong o lo Scorpione. Inoltre c’è stata quella storia del risarcimento del Governo alla comunità mutante colpita dalle Sentinelle.”

“Immaginavo. Comunque Jameson poteva anche mandarmi qualcuno di più educato. Quella tipa pareva un mastino inferocito, a tal punto che ho temuto volesse azzannarmi il viso. Dovrebbe vedere un buon psichiatra. Dovrei vederlo anche io. Non capisco come ho fatto a privarmi per tutto questo tempo delle mie meravigliose ragazze.”

May ebbe un piccolo sussulto, come quando un immagine onirica coinvolge così tanto il sognatore da farlo partecipare anche fisicamente. La sua piccola boccuccia era leggermente aperta e il suo respiro era profondo e regolare.

“Questo devi dirmelo tu. Anche se la risposta la so già: il dovere.”

Peter tirò leggermente su il capo e fissò negli occhi M.J. Lei stava sorridendogli con dolcezza tale da fargli capire quanto era stata in pena per lui nei giorni passati e non poté fare a meno di pensare che forse il suo senso di responsabilità doveva essere rivisto.

I suoi poteri gli imponevano dei doveri ma era anche un padre ed un marito e non doveva, né voleva dimenticarlo. Pensò che avrebbe dovuto richiamare Ben e Kaine. Il primo aveva telefonato ieri e avevano parlato qualche minuto con la reciproca promessa di risentirsi e vedersi per stare un po’ assieme. Anche l’altro aveva telefonato ma per un preciso accordo preso in precedenza tra di loro: mai farsi vedere troppo assieme, specie se c’era la stampa di mezzo; qualcuno poteva accorgersi della somiglianza straordinaria.

Doveva fare anche uno squillo a Matt. Aveva spedito dei fiori con un biglietto: “ad un buon amico che è tornato da un lungo viaggio”; si fermò un istante a riflettere su quanto aveva già realizzato in Italia lavorando con Rugantino e Warwolf. Una volta era stato un quindicenne solitario ed introverso, poco incline ai rapporti interpersonali e men che mai nei suoi panni di vigilante mascherato ma quei tempi erano lontani ormai, e lui era un uomo che ne aveva fatta di strada. Ora aveva una famiglia, degli amici ai quali teneva e di cui si fidava. Gli sarebbe piaciuto cenare fuori con Rucker e con gli altri. Anche con i suoi nuovi amici italiani.

Già, si sentiva proprio un uomo nuovo. E la cosa non gli dispiacque affatto.

 

 

 

Chelsea, Manhattan, N.Y.C. – Venerdì ore 12.27 p.m.

 

 

C’era stato prima un grande stridere delle gomme, poi il levarsi di un fumo scuro e maleodorante.

I filtri del casco di Electroman non funzionarono come avrebbero dovuto ed arricciò il naso assumendo un espressione disgustata che nessuno poteva vedere.

Era quasi fatta: la Bank of West America aveva una filiale in quella zona dove andavano gli impiegati di due compagnie informatiche a ritirare le proprie buste paga e questo lui lo sapeva bene, visto che una volta era stato uno di loro; uscire di carcere facendo finta di essere malato di mente era stato facile, così come eludere, con qualche mazzetta e la complicità di un paio di amici, la sorveglianza dell’istituto di cura dove era stato inviato in terapia. Capitan Elettronico era stata una pessima realizzazione di una buona idea. Troppo vistoso e troppo poco preparato. Durante il processo aveva avuto modo di pensare a tutti gli errori compiuti e a come correggere il tiro.

Electroman aveva un look più discreto, un piano in mente e tecnologia decisamente migliore della precedente. Quest’ultimo particolare gli era costato gli ultimi risparmi e un debito con un poco raccomandabile strozzino ma contava di risolvere la faccenda con quel colpo. Si parlava di parecchi soldi, sufficienti a saldare con il tipo e poter fare progetti anche più in grande.

Niente più scontri con super eroi ed affini, solo colpi in zone sicure, ripeté tra sé e sé mentre stava facendo saltare la chiusura delle porte del furgone rovesciatosi su di un fianco utilizzando un sofisticato congegno elettronico.

Per sua sfortuna l’Uomo Ragno non era della stessa opinione riguardo agli scontri.

Arrivò rapido dall’alto, colpendo con entrambi i piedi, usando semplicemente il peso del proprio corpo per farlo volare contro un aiuola a una decina di metri di distanza.

Corse subito a sincerarsi che gli autisti stessero bene e quando constatò che stavano entrambi bene, anche se un po’ scossi si preparò a fare una delle cose che gli riuscivano meglio: pestare un criminale.

 

L’aria crepitò sinistramente per via delle scariche azzurrine che si dipanavano dai guanti di Electroman che tentava disperatamente di mantenere la calma mentre l’Uomo Ragno se ne saltava da una parte all’altra.

“Accidenti! Che mira! Non dirmelo! Eri un cecchino dei marines? Ho indovinato? Si che ho indovinato! Dai, cosa ho vinto? C’è un premio? Ci deve essere per forza! C’è sempre un premio!”

Parlava distraendolo, facendolo arrabbiare ulteriormente in modo che fosse meno lucido. La gente si teneva a distanza di sicurezza, concetto relativo quando si trattava di uno scontro tra super umani. Non riuscivano ad andarsene via, nonostante il pericolo, come ipnotizzati da quello che spettacolo che nella sua quasi quotidianità a New York, non perdeva ancora di fascino. Sostanzialmente era la rappresentazione dell’eterna battaglia tra bene e male. Però lui sapeva che non era uno spettacolo teatrale, perché si poteva morire veramente, né tanto meno qualcosa di così netto e semplice come una contrapposizione di bianco e nero.

L’avversario non sembrava molto pericoloso dal punto di vista fisico, a meno che non avesse poteri particolari che ancora non aveva osservato, o fosse un esperto di arti marziali. Dal modo in cui si muoveva non era propenso a credere quest’ultima ipotesi. Non pareva neanche particolarmente esperto nell’usare i propri poteri che probabilmente gli venivano dal costume. Il sospetto che si trattasse di Dillon era durato meno di un secondo. Taglia, postura e modus operandi non corrispondevano affatto. Inoltre il suo vecchio nemico era circondato sempre da un leggero campo elettromagnetico che generava una certa quantità di luce quando compiva qualche sforzo o incanalava gli elettroni verso un determinato bersaglio. Nessuna luminescenza. Nessuna delle frasi abituali. Nessuna delle tattiche da lui conosciute. Non era Dillon.

“Muori! Crepa sporco ragno schifoso!” Si sentì ringhiare contro con un odio che sapeva parecchio di paura. Quella voce non gli suonava nuova, nonostante il casco.

Che si trattasse di qualcuno che aveva già combattuto? Possibile. Capitava che ogni tanto gli a salve cambiassero identità. A salve era un termine gergale usato dalla comunità dei così detti eroi per descrivere le mezze tacche, quelli che non riuscendo a farsi un nome importante cambiavano continuamente identità pensando che prima o poi avrebbero trovato quella in grado di impressionare il pubblico e farli rimanere finalmente impressi nella mente della gente. La Kafka avrebbe detto trattarsi di una compensazione del proprio senso di inadeguatezza, si disse Peter.

Descrisse diversi archi in aria, atterrò sulle mani e si lanciò contro un muro, lanciandosi poi verso un albero, verso un altro muro e così via. A salve o no, rimaneva potenzialmente pericoloso come gli suggeriva il senso di ragno e non poteva correre il rischio di rimanere fulminato per dargli un pugno. Con la sua vecchia tela ai polimeri si sarebbe isolato le mani per riservargli il suo trattamento speciale alla Max, così chiamato in onore del super criminale. Con la nuova tela organica invece non poteva essere così sicuro. Aveva compiuto diversi esperimenti su di essa ma non aveva ancora testato quanto fosse resistente all’elettricità.

Una grave pecca da parte sua non sapere esattamente cosa potesse o meno fare la sua nuova tela, specie da quando aveva scoperto che le filiere spesso e volentieri gli si gonfiavano al punto tale da rendergli scomodo indossare i lancia ragnatele.

Lo vide sollevarsi dopo un leggero tremolio dell’aria. Da sotto le suole degli stivali veniva una luminescenza bluastra e si sentiva un forte ronzio.

“Il buon caro, vecchio effetto di Brown!” Non era riuscito a trattenere quell’ammirata esclamazione. Per produrre un effetto del genere era necessario presupporre che nel costume fossero integrati del materiali super conduttori capaci di assorbire parecchia energia elettrica senza carbonizzare chi lo indossava, dei super condensatori estremamente piccoli e un’unità di potenza altrettanto piccola ma capace di generare l’energia necessaria a sollevare l’uomo e farlo volare, probabilmente, ad una discreta velocità. Lo scienziato dentro di lui urlò per poter esaminare quel miracolo della scienza. Certo, in un mondo dove vivevano geni del calibro di Richards, Stark o Pym si sarebbe potuto dire che si correva il rischio di abituarsi a quella super scienza che pareva uscita da un libro di Asimov o di Clarke, ma per lui non c’era questo pericolo. Di sicuro, pensò, era preoccupante come certa tecnologia fosse sempre più alla portata di balordi in costume quello.

Fu rapidissimo. Usò due palazzi per fissare la sua classica fionda ragnesca, proiettandosi rapido in aria dove cominciò a spruzzare fili e lavorarli con rapidità disumana in una rete dentro la quale finì il terrorizzato rapinatore.

Non riuscì a lanciare scariche, ne a dargli la scossa perché come aveva ipotizzato, il propulsore Brown toglieva troppa energia agli altri sistemi.

Lo strinse in una morsa d’acciaio, avvolgendolo nella ragnatela come se fosse stato una mosca.

“Posso sapere il nome di siffatto campione del male?” Chiese sarcastico.

“E…Electroman!” Esclamò quello in un ultimo moto d’orgoglio, quasi fosse stata una sfida alla quale l’Uomo Ragno invece replicò con assoluta indifferenza.

“Ringrazia il cielo, allora, che sia stato io a trovarti e non Electro. Dovresti saperlo: i pezzi grossi non amano chi usa i loro nomi o ne adotta di troppo simili.”

Lo colpì leggermente, usando una piccola frazione della sua forza, sufficiente però a provocargli uno svenimento e depositò il bozzolo in cui l’aveva intrappolato contro un albero, sparendo poco prima che arrivasse la polizia.

 

Mary Jane rideva di gusto mentre ripensava all’aria incredibilmente ridicola che aveva il criminale appena catturato dal marito.

“Si, effettivamente era piuttosto buffo.” Convenne Peter mentre la teneva a braccetto e s’incamminava con lei per strade poco trafficate e dove si vedevano poche persone in giro.

“Non riesco ad abituarmici, sai? Siamo sposati già da un po’ ma mi sorprendo sempre come anche un uscita per andare alla tua tavola calda preferita possa trasformarsi in una avventura mozzafiato. Anche se stavolta il tuo nemico sembrava uscito dalla serie c dei cattivi!”

“Sigh! E per colpa sua ho perso anche i miei tacos con chili e carne! Il vecchio Roberto non li serve più passato mezzogiorno!”
” Oh, mi dispiace tanto tesoro!”

“Non prendermi in giro! La ammonì lui assumendo un espressione di rammarico volutamente esagerata. So bene che ci stavi venendo con me solo per farmi piacere. Non hai mai amato quel posto.”

“Angelo mio, quel posto è la perfetta rappresentazione del concetto di bettola ed è perfettamente opposto a quello di igiene.”

“Eppure si mangia così bene…”

“Si, si. Quello è un locale da scapoli amore e tu non lo sei più da un po’.”

“Già. Quando vivevo nel vecchio appartamento ci andavo spessissimo e se non fosse stata per l’efficienza metabolica incrementata dai miei geni di ragno avrei già una gastrite di quelle devastanti. Però continuo a dire che il chili che fanno lì è il migliore che ho mai mangiato a New York!” Esclamò con orgoglio, quasi la cosa potesse essere in qualche modo messa in correlazione al fatto che lui era stato un frequentatore di quella tavola calda.

Lui e la moglie continuarono quello che da pranzo insieme si era trasformata in una gustosa passeggiata per le vie di quella zona dove Peter aveva tanti ricordi.

 

 

In volo verso New York City, volo Pan Am – Il giorno prima, ore 2.13 p.m.

 

“Un salto di fede.”

“Cosa?” Chiese Leonard incuriosito per quell’espressione che non aveva mai sentito prima. Peter gli sorrise e tornò a fissare davanti a se il panorama di un modo le cui forme ed i punti di riferimento parevano mutare in continuazione, ‘si che ogni speranza di potersi orientare senza un adeguata preparazione era vana.

“Un salto di fede. Quando ci troviamo in delle situazioni dove è impossibile avere la certezza di qualcosa eppure andiamo avanti lo stesso, decidendo di confidare comunque in noi stessi, nella Provvidenza o negli altri. Quando ero piccolo fu un reverendo amico di mio zio ad usare per la prima volta questa espressione con me. Si conoscevano da tanto tempo. Erano stati insieme nell’esercito e avevano continuato a sentirsi con una certa regolarità dopo esserne usciti. Padre Kirk era un uomo incredibilmente alto, l’aria smunta e magro in modo quasi comico eppure possedeva una forza quando parlava o raccontava tale da inchiodarti alla sedie mentre lo ascoltavi, desideroso di sapere qualcosa di più di questo strano personaggio. Ci raccontò dei suoi viaggi come missionario e delle tante persone che aveva incontrato. Ci disse che una volta, in Sud America, in Bolivia per l’esattezza, lui ed i suoi collaboratori furono rapinati e malmenati dalle persone che erano andati ad aiutare. Si erano salvati per un pelo e sicuramente avevano corso un bel rischio. Allora io gli chiesi se sarebbe ripartito mai più a fare il missionario e lui mi disse di si, ed io, piuttosto stupito, gli chiesi se non avesse paura e molto francamente mi disse di si ma che sapeva di far qualcosa di giusto e che per questo confidava nell’aiuto del Signore.

Quando gli chiesi come faceva ad esserne certo, mi disse che era un salto di fede il suo. Non capii bene cosa intendesse ma poi, nel corso degli anni che sono trascorsi, mi sono reso conto che un salto di fede lo si fa un po’ tutti i giorni della propria vita. Oggi non fa eccezione.”

“Però oggi rischi qualcosa di molto importante: la stessa tua vita.” Osservò Leonard, quasi avesse voluto sfidarlo a trovare una risposta a quell’obiezione.

“Ma la vita, mio caro, la si rischia ogni giorno! Ogni volta che si esce di casa e poi non scordarti che sono un newyorkese e che tra criminalità, terrorismo e super criminali per me l’esistenza è una sorta di roulette russa. Risero entrambi per quella battuta, forse un po’ cinica ma che aveva ottenuto l’effetto sperato da Peter: allentare la tensione che stava aumentando troppo; riprese a parlare con tono calmo e tranquillizzante. Tu dici che potresti farlo, che potresti davvero compiere tale pazzia ma ho sempre creduto che anche nella follia ci sia un minimo di metodo. Se avessi voluto fare un numero del genere non ti saresti disturbato a cercare di disarmare i dirottatori ma ti saresti subito segnalato loro come terrorista a tua volta e probabilmente li avresti aiutati. Certo, potrebbe essere tutto un complicato piano partorito dalla tua diabolica mente, assicurarti che ci saremmo fidati di te e ti avremmo messo ai comandi dell’aereo per poi farci fuori tutti con la massima sicurezza. Mise una mano sulla spalla del ragazzo, stringendola con grande calore Però sento che non è così. Non sei un assassino e so che non ci farai del male. Ho fiducia in te.”

“Anche se il poliziotto ti ha detto che sono un terrorista?”

“So che da terrorista non ti sei comportato, almeno fin ora. Non so cosa tu abbia fatto in passato ma sei qui ora e puoi fare la cosa giusta. Questo conta qualcosa. Questo conta tutto ora. Metti da parte i dubbi e le paure. Ascolta la voce di dentro, quella che ti dice di non mollare e continuare ad andare avanti nonostante tutto.

Io ho fatto un salto di fede decidendo di crederti. Forse non tutti gli altri lo hanno fatto ma questo non conta,

Conta solo che adesso tu prenda una decisione e lo faccia tu questo salto di fede. Credi in te stesso, Leonard.”

Il ragazzo guardava davanti a se e cominciò a vedere la sagoma della Grande Mela, resa celebre da tanti film e documentari.

Si avvicinavano sempre di più ed ormai non c’era più tempo per i giochetti mentali, per le angosce, per le frustrazioni o per la paura.

Leonard prese la sua decisione definitiva e si preparò all’ultimo atto di tutta quella storia.   

 

 

 

Chelsea, Manhattan, N.Y.C. – Venerdì ore 12.51 p.m.

 

 

Passeggiavano lungo le vie quasi deserte del quartiere. La maggior parte delle persone  stava finendo di consumare il pranzo nei locali o era tornata al lavoro. Peter reclinò la testa leggermente indietro, per lasciare che i raggi del Sole sfiorassero il suo viso. Una sensazione piacevole che lo riempiva di serenità. Dopo i giorni della pioggia che pareva intenzionata ad affogare senza pietà l’intera città ed i suoi abitanti, vedere un cielo così limpido e sereno pareva un miracolo, quasi i giorni tristi di morte e tragedia vissuti fossero solo un brutto sogno dal quale ci si era finalmente destati.

Quasi, perché sapeva che erano stati reali e avrebbero pesato per sempre sul suo cuore, sulla sua mente, come una bestia che covava nell’ombra e che rifiutava di lasciare la presa sulla propria preda.

L’autobus pieno di bambini. Provò una morsa allo stomaco e un brivido d’orrore lungo la schiena. Mary Jane lo fissò preoccupata e subito si costrinse a sorridere. Dopo tutto quello che aveva passato non poteva certo gravarla anche di questo.

“Tutto bene?”

“Tutto bene.” Confermò lui portandosi la sua mano all’altezza della bocca e schioccandole un bacio sul dorso. La fragranza della pelle, l’afrore che gli riempiva le nari. Quante volte l’aveva sentito? Eppure era ogni volta come se fosse stata la prima.

Ringraziò Dio perché in mezzo alla follia, in mezzo alla perdizione di un mondo che tal volta sembrava andato troppo oltre per poter sperare d’essere redento lui aveva trovato la felicità e avrebbe fatto di tutto pur di tenerla al riparo dal male. Un termine arcaico, persino ridicolo avrebbe detto qualcuno, ma lui aveva visto il male, sapeva che non era solo un concetto astratto, né mera superstizione. E non erano i demoni incarnati, o gli arcidiavoli, o le oscure divinità che si compiacevano nella totale distruzione, nel rovesciamento d’ogni valore morale. Erano gli uomini che l’avevano convinto che il male esisteva veramente. Un oscura piaga che divorava tutto ciò che incontrava sulla sua via, fagocitando con cupidigia tutto quello che era sano e giusto.

Il volto dello Scorpione che rivedeva nella sua mente era tutto il male di cui era capace Gargan venuto definitivamente alla luce, senza più maschere o inibizioni a limitarlo. Un sorriso folle e demente, la brama selvaggia di sangue e morte, la gioia ferina con cui si era lasciato ad andare all’omicidio efferato.

Ancora i bambini, ancora il dolore profondo e straziante, il senso di vuoto incolmabile per quell’assurda perdita, la perdita di vite appena iniziate ed innocenti.

“Non credevo avessi il tuo costume sotto gli abiti.” Mary Jane era intervenuta strappando il marito all’abisso di foschi pensieri che aveva capito stavano ingoiandolo. Ormai lo conosceva bene e sapeva che non voleva condividere con lei quel fardello. Insistere non sarebbe servito a nulla, se non ad aumentare il suo disagio ma non poteva lasciarlo scivolare via così. Già il silenzio tra loro aveva fatto troppo danni e non avrebbe permesso il ripetersi di quella situazione.

“Neanche io.Fece con aria finto stralunata che riuscì a strappare una risata divertita a lei. Farlo è divenuto una sorta di riflesso condizionato talmente è tanta l’abitudine di divenire l’Uomo Ragno. Mi ero ripromesso di non farlo più. Potrebbe capitare, per qualsiasi motivo, che io svenga per strada e per soccorrermi magari si accorgerebbero della cosa e allora sarebbe molto difficile per me giustificare il come mai me ne vado in giro con questo bel pigiama sotto gli abiti.”

“Comunque sono contenta di aver rivisto il vecchio tessiragnatele rosso e blu fare il suo dovere e credo che lo sarà anche tutta la città.”

“Davvero? E dire che una volta c’era anche un mandato di cattura che pendeva sulla mia testa. Tra i sospetti della polizia e l’opera di demonizzazione del vecchio J.J.J. trovo incredibile pensare di essere riuscito a rimanere così a lungo in circolazione. Ho sempre temuto che un giorno o l’altro mi linciasse una folla inferocita, magari armata di fiaccole e forconi.”

“Hai visto troppi film della Hammer.”

“La Hammer era grandiosa!”

“Oh, lo so come la pensi. Chi c’era a vedere con te tutte quelle maratone con i vari Vincent Price, Bela Lugosi, Cristopher Lee e via dicendo?”

“Amore mio, so che ti faranno santa per avermi sopportato così a lungo.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo. È un vero piacere per me sopportarti.”

Lo tirò improvvisamente a sé e lo cinse in un abbraccio così forte che per qualche istante parve avesse voluto divenire con lui un tutt’uno non solo nell’anima ma anche nel corpo. Le loro labbra si unirono in un caldo ed appassionato bacio, l’una premuta contro l’altra con quella carnale dolcezza propria degli amanti di vecchia data che se pur fatto proprio il segreto dell’intimità, non avevano dimenticato il fuoco ardente della scoperta reciproca.

Rimasero così intrecciati per un paio di minuti, un eternità per quel piccolo universo venutosi a creare tra la vicinanza dei propri corpi, il cui peso era una sorta di rassicurante assicurazione per entrambi che il momento vissuto era reale.

“Come ho fatto tutto questo tempo senza di te?” Chiese Peter dopo che si furono distanziati di qualche centimetro.

“Non so signor Parker. In Italia non hai trovato qualcuna con cui consolarti?”

“L’Italia è stupenda. Ci tornerei volentieri con te e May ma non esiste nessuna in grado di darmi quello che tu mi doni ogni giorno. Grazie.”

“Per cosa?”

“Per essere tutto quello che sei. Per riuscire ad essermi vicina, sempre e comunque.”

“Non ci sono riuscita sempre.” Asserì lei con una nota di tristezza e auto biasimo nella voce che non era riuscita a nascondere.

Lui le pose un dito su quelle labbra che poco prima aveva gioiosamente assaporato.

“Non dirlo mai. Quello che è successo in gran parte è stata colpa mia. Tu sei rimasta comunque con me, sempre. E se siamo stati lontani fisicamente per un po’, quello che c’è tra noi non si è logorato ma solo rafforzato ancora di più.”

Ripresero a camminare, mano nella mano. Dopo qualche istante di silenzio:

“Comunque continuo a dire che anche la città sarà contenta del ritorno del suo eroe più grande e potente.” M.J. l’aveva detto con voluta pomposità alla quale suo marito replicò:

“Sono lusingato per quanto mi dici ma credo che Cap, Thor, Ironman e almeno un’altra ventina abbondante di miei colleghi potrebbe avere a che ridire. Immagino già la Torcia Umana protestare con veemenza per la tua affermazione!”

“Allora diciamo che sei comunque quello con il look più cool come dicono i teen ager oggi!”

“Ancora complimenti oggi? Mhhh, se non ti conoscessi direi che vuoi arruffianarmiti.”

“No, no, scherzi a parte, ho sempre pensato che il tuo fosse uno dei costumi più belli. Voglio dire, è talmente entrato nell’immaginario collettivo comune che può considerarsi un simbolo della città al pari dei suoi monumenti più importanti. Direi che si può considerare un vero successo.”

“Ahah, beh, effettivamente quando lo concepii volevo che fosse accattivante, un disegno semplice, facile da assimilare ma che rimanesse impresso nella memoria della gente. Volevo che esprimesse un concetto ben chiaro.”

“Alla faccia della finta modestia! Comunque hai ragione. Esprime bene il concetto di potere ragnesco. Metto in risalto la tua agilità e le tue doti d’atleta naturali ma comunica anche un senso di forza e, non fraintendermi, anche una specie di sensazione di pericolosità, rivolta soprattutto ai malviventi s’intende.”

“S’intende. Ti confesso un segreto: mi sono ispirato un po’ al costume del mio eroe preferito, Capitan America; voglio dire, l’esempio che ho seguito è stato quello. Uno stile non troppo complicato ma molto curato nei particolari, fedele allo spirito di chi lo indossa. Te l’ho mai detto che all’inizio però l’avevo concepito nero?”

“Cosa? Dici veramente?”

“Si. Doveva essere nero.”

“Come quello della seconda Donna Ragno e del simbionte?”

“Si, anche se diverso. Sai, in un certo senso volevo sottolineare quell’effetto minaccioso a cui accennavi. Forse era il modo di un quindicenne un po’ frustrato di dire al prossimo: ehi, guardami! Sono l’Uomo Ragno e non sono più un perdente! Se vuoi prendermi per il naso, io ti prenderò a calci sulle chiappe!”

Risero entrambi di gusto.

“Non ti ci vedo a fare discorsi del genere! Ti ho sempre immaginato come un ragazzino estremamente dolce.”

“Forse lo ero ma ero anche parecchio voglioso di rivinciate, un po’ come tutti gli adolescenti nerd che sono stati oggetto di maltrattamenti da parte dei coetanei.

Comunque fu il mio impresario a sconsigliarmi questa scelta quando gliene parlai. Sai, diceva che se volevo essere una star della tv e del wrestling dovevo vendermi meglio.

Non potevo mettere troppa paura. Al tempo non Undertaker non aveva ancora fatto successo e preferivano le figure colorate e positive tipo Hulk Hogan e Ultimate Warrior. Inoltre c’era la questione dell’aumento della popolazione paraumana e mutante che stava aumentando. Ci chiamavano Meraviglie ma c’era un certo timoroso sospetto nei nostri confronti. Diamine! A parlarne così sembra sia trascorso un secolo ed invece non sono passati che dodici anni appena. Comunque alla fine mi convinse e optai per colori decisamente più accattivanti.”

“Quelli della bandiera americana! E poi sarei io la ruffiana, eh?”

“Il novanta per cento della popolazione ama i colori della propria bandiera, indipendentemente dalle idee politiche o dal credo religioso. È qualcosa in cui tutti si riconoscono immediatamente, un elemento che accomuna, il simbolo di un sentimento di cui tutti sono partecipi. Si, ero decisamente un ruffiano. Nacque così l’idea del costume classico che ancora oggi, dopo tanto tempo, ancora porto.”

“Solo che a questa idea ci hai messo mano diverse volte.”

Mary Jane aveva risposto a tono alla provocazione di Peter. Sapeva che la sua domanda nascondeva un tranello. Aveva l’espressione che assumeva quando le stava giocando un piccolo tiro.

“E come ci avrei messo mano?”

“Allora, iniziamo con i colori. È vero che hai utilizzato il rosso ed il blu ma le tonalità delle volte sono state diverse. Ad esempio le tue prime foto, quelle dei primissimi anni, dimostravano chiaramente che usavi una tonalità di rosso e blu decisamente più scure di quelle adottate quando entrasti all’università. Nel complesso avevi un aria più notturna, più cattiva prima. Poi ha adottato una sorta di blu più tendente al celeste e molto più simile all’uniforme di Cap e un rosso meno sanguigno e più sgargiante.”

“Ottima osservatrice.”

“Grazie. Lo sono diventata grazie alle lezioni di un certo signore che si vanta del suo fiuto giornalistico e delle sue innate doti di detective.”

“Chissà di chi stai parlando.”

“Chi lo sa. Poi ci sono le ragnatele ascellari.”

“Ah! Quando le disegnai le adoravo! Non pensavi che fossero veramente fichissime? Dovevano conferire un aria estremamente aereo dinamica al costume. Mi ero ispirato alle tute per il volo planare.”

“Le hai eliminate ad intermittenza.”

“Non erano pratiche come pensavo. Però non ho mai capito se volessi mantenerle oppure no.”

“Ci sono gli occhi o meglio, le lenti.”

“Il pezzo forte della mia maschera, non credi?”

“Sei partito con lenti piccole, con un contorno nero molto accentuato. Davano l’impressione di due occhi socchiusi che scrutavano severi.”

“Che finezza! Forse avrei dovuto davvero fare lo stilista.”

“Poi le hai allargate a dismisura, fin quasi a coprire l’intero volto, assottigliando ed arrotondandone il contorno.”

“All’inizio usavo lenti graduate per via della mia miopia e le concepii un po’ come occhiali futuristici. Poi con il tempo ho deciso che dovevo privilegiare la visibilità. Ricordo che mi prendevi in giro senza pietà perché dicevi che ero divenuto ridicolo.”

“Ed effettivamente un po’ lo eri. Non fraintendermi, ma eri passato da quelle così piccole a quelle enormi dall’oggi al domani. Avevano un effetto quasi grottesco ma adesso hai aggiustato il tiro e ne usi di grandezza intermedia tra le due. Se non ricordo male, in luogo di quelle a specchio ne hai usate anche gialle!”

“Accidenti! Il mio fan club dovrebbe darti un premio! Non sono in molti a ricordarsene. Solo in Italia ho parlato con una persona che se ne ricordava. Le ho usate talmente poco. Solo per un mesetto scarso se non ricordo male. Non avevo potuto comprare quelle che usavo di solito e così usai quelle ma la cosa non fu di mio gradimento e come potei tornai alle vecchie.”

“C’è la ragnatela. Io adoro la tua tela! Dire che è un idea fantastica è poco.”

“Ho scoperto che gli elaboratori di auto lo usano spesso per la carrozzeria dei loro bolidi. Una volta un tipo mi ha mostrato con orgoglio la foto della sua Ragno Mobile.”

“Ragno Mobile? Come la tua?”

“Oh mamma mia! Non ricordarmelo! Ho fatto di tutto per dimenticare quel catorcio! Ho pensato anche seriamente di ricorrere all’ipnosi per rimuoverne l’immagine dalla mia testa.”

“Comunque all’inizio la tua ragnatela era una serigrafia. Adesso è in rilievo.”

“Credevo che la tridimensionalità avrebbe movimentato un po’ il mio costume.”

“I ragni sul davanti e sul dietro sono cambiati. Quello sulla schiena non è più tondeggiante come il primo ma molto più simile a quello del costume nero. Quello sul davanti anche ha una forma molto più appuntita ed aggressiva.”

“Mi devo tenere al passo con i tempi.”

“Sei tornato a colori più scuri e c’è anche qualcosa di diverso nel tuo aspetto.”

“Semplice. Ho iniziato usando spandex ed elastan perché mi servivano materiali leggeri, che non limitassero i miei movimenti e che mi permettessero di realizzare qualcosa che come puoi vedere, posso indossare facilmente anche sotto i vestiti.

Purtroppo avevano anche la tendenza a farmi puzzare in modo indecente dopo un po’.

I tempi cambiano e adesso dispongo di materiali a buon mercato di cui prima non potevo disporre tanto facilmente. Uso fibre di carbonio per il costume. Faccio lavorare sotto falso nome ad una sartoria delle tute da sport estremo che poi rifinisco e coloro io con una speciale vernice ai polimeri. Le tute sono realizzate a microcelle che permettono una corretta traspirazione della pelle e hanno risolto in gran parte il problema della puzza pestilenziale. Cavoli, la gente pensava che avessi una scarsa cura della mia persona.”

“Sono impressionata! Non mi avevi mai detto come facevi a procurarti le tue tutine, né come fossero fatte. Che puzzassi notevolmente meno l’avevo notato, e ti confesso con un certo piacere. Sai che ci sono tante cose di te che mi stupiscono? Non ti ho mai chiesto come un quindicenne avesse avuto il talento di ideare qualcosa di comunque tanto bello. Lo hai disegnato tu il modello? Intendo, tutto da solo. Ora che ci penso hai veramente dimostrato delle notevoli doti artistiche.”

“Tutto merito del signor Rowe.”
”Il nome non mi è familiare.”

“Vincent Rowe è l’uomo che in un certo senso mi ha evitato di divenire un sociopatico. Almeno credo. Non sono un sociopatico, vero mia dilette?” Chiese imitando la vocia e le smorfie di Jim Carrey.

“No! Non direi proprio tesoro. Anche se quando fai così mi preoccupi un po’.”

“Spiritosa. Comunque era uno psicologo infantile che dirigeva un casa sostegno per bambini che avevano problemi o subito traumi. Poco dopo quanto accadde ai miei genitori mi chiusi in una sorta di ostinato mutismo che mi spiegarono essere una sorta di meccanismo difensivo tipico in un bambino che ha subito lo shock della perdita improvvisa. Rowe cercava di curare i suoi piccoli pazienti facendoli aprire in modo da permettergli di sfogare il proprio dolore e per farli aprire ricorreva al gioco. Io non dimostrai molta attitudine per i giochi di gruppo ma lui s’accorse che preferivo di gran lunga certe attività creative come il disegno e così si metteva vicino a me e con grande pazienza mi insegnò tutto quello che lui aveva appreso seguendo un corso di disegno quando era più giovane.”

“Questo non me lo avevi mai raccontato.” Era sorpresa e si trovò a constatare che forse c’era ancora molto da scoprire di quell’uomo meraviglioso con cui aveva deciso di dividere tutta la sua vita. Desiderò dentro di sé con intensità struggente di poter avere il tempo di scoprire tutte quelle cose della sua vita di cui ancora non era a conoscenza.

“Buffo. E dire che ricordo il signor Rowe con tanto affetto e che ogni tanto passo a trovarlo. Sai, la sua casa sostegno è ancora aperta. Comunque devo dire che divenni discretamente bravo e mi divertivo molto a fare illustrazioni o realizzare piccoli fumetti che spesso e volentieri avevano per protagonisti me e zio Ben.”

“E i tuoi lancia ragnatele? Voglio dire, sono davvero straordinari così come la tua formula per la ragnatela. Diamine, se sei riuscito a fare quel popò di costume da solo devi essere stato davvero un piccolo genio per crearli.”

“Stato?” Chiese aggrottando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto in una posa da finto offeso. In lontananza sentirono le risa di alcuni bambini che i genitori stavano riportando a casa dopo la scuola. C’era genuina allegria in quei trilli festosi che riempivano l’aria, calma e calda.

“Dai, hai capito benissimo che cosa volevo dire.”

“Lo spero bene. Ora ti dico un altro segreto che a pensarci bene, non ti ho mai confessato.”

“Siamo in vena di confidenze oggi, o sbaglio?”

“Approfittane, miscredente! I lancia ragnatele li ideai prima di divenire l’Uomo Ragno.”

“Frena un attimo. Questa si che è davvero interessante. Come è successo?”

“Ovviamente all’inizio avevano una funziona diversa, così come doveva averlo la speciale formula ai polimeri liquidi che stavo ideando. L’idea mi partì da Heinlein.”

“Uno scienziato?”

“Uno scrittore di fantascienza che adoravo. In un suo racconto descriveva uno speciale ed avveniristico sistema usato per tappare le falle a bordo delle astronavi del futuro. Speciali sfere che venivano fatte uscire al momento dell’emergenza e che, seguendo il flusso d’aria in fuoriuscita dalle navi  si ammucchiavano letteralmente sullo squarcio, esplodendo per effetto della pressione dell’una sull’altra e rilasciando una sorta di sostanza incredibilmente resistente che riparava temporaneamente il danno un po’ come un super coagulo di metallo.

La cosa mi colpì a tal punto che decisi l’avrei realizzata io per primo. Forse fui spronato dal fatto che i miei avevano avuto un incidente aereo, così mi dissero, ed avevo sempre immaginato che se ci fosse stato un sistema efficace per riparare il danno che l’aveva fatto cadere… Peter si interruppe un istante. Pensò che forse anche per quello aveva dimostrato tanto interesse nell’imparare quanto più possibile sugli aerei. Mary Jane gli passò con grande tenerezza una mano tra i capelli e lui reclinò il capo in modo da poterla stringere tra la guancia e la spalla quando lei la passò più giù. Continuò rinfrancato da quel gesto con rinnovata allegria, mi figurai questa sostanza che ad una certa temperatura fosse allo stato liquido e fosse in grado di solidificarsi rapidamente divenendo estremamente coriacea. Lavorai a lungo prima su composti di polimeri molto semplici, poi via, via sempre più complessi. Pensai anche ad un sistema efficiente per spruzzarla sul punto danneggiato ed in un primo tempo ideai una pistola ma poi mi parve troppo ingombrate e poco pratica da usare ad esempio a gravità zero. Il diffusore doveva essere qualcosa di compatto nelle dimensioni e il cui utilizzo doveva essere il più semplice ed istintivo possibile, quasi fosse un estensione del braccio stesso di un astronauta o di un pilota che fosse e così mi venne in mente una specie di braccialetto. I primi modelli che realizzai quando ricevetti i miei poteri erano di metallo. Resistenti ma poco pratici e comodi. Introdussi delle migliorie nel sistema di ricarica e cominciai ad usare fibre di vetroresina per gli esemplari successi, soluzione che si è rivelata vincente. Anche la cintura è stata una sfida lo sai? All’inizio era meno comoda delle ultime che ho costruito. L’ultima che avevo costruito aveva diverse parti mobili in grado di spostarsi lungo un piccolo binario magnetico creando così un sistema altamente gestibile di tasche equipaggiate con diverse tipologie di cartucce di fluido o ragni spia.

Anche il ragno segnale avevo perfezionato usando una speciale lampadina allo xeno.”

“Il ragno segnale lo adoro!”

“Volevo qualcosa che incutesse davvero paura nei miei nemici e che al contempo fosse rassicurante per le persone che proteggevo. Non sai quante volte mi si è fulminata la lampadina proprio prima sul più bello, magari proprio quando stavo per entrare in azione!”

Mary poggiò la testa sulla sua spalla ed i due proseguirono lungo quella strada che pareva addentrarsi nei ricordi del passato.

 

 

 

Forest Hill, casa dei coniugi Parker – La sera prima, Giovedì ore 8.00 p.m.

 

Varcando la soglia della propria casa Peter aveva avuto come la sensazione di essere tornato da un viaggio durato da tempo immemore. Quasi non gli sembrava possibile essere di nuovo lì e nell’osservare con gratitudine la famigliare geometria della disposizione dei mobili all’ingresso realizzò quanto gli fosse mancata e ancora più quanto gli fossero mancati i suoi occupanti: la sua famiglia; la piccola May era tra le sue braccia e lui si era rifiutato con ferma gentilezza di passarla a zia Anna per riposarsi un po’. Non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo in quel momento. Mary Jane corse subito a prendere qualcosa da bere in cucina e lui si lasciò scivolare con compiaciuta mollezza sopra la sua poltrona preferita. Rucker l’aveva seguito ad una certa distanza ed era rimasto rispettosamente sulla soglia del soggiorno.

“La prego, si accomodi pure.” Invito con calore e cortesia la signora Anna Watson. A lei era stato detto che Oliver Terenzio Rucker era una vecchia conoscenza di Peter, risalente ai tempi di quando faceva il reporter. Lei non aveva faticato a credere a quella storia e sapeva solo che l’avere quella presenza rassicurante a casa le poteva fare solamente piacere dopo le emozioni della giornata.

Gayle, Tommy e Kevin erano a casa sua e dopo aver salutato con gioia il ritorno di Peter avevano deciso di lasciare ai due coniugi un po’ di tempo tutto per loro, cosa che voleva fare anche lei dopo essersi assicurata che non avessero bisogno di nulla.

“Molto comodo questo divano.” Commentò con compiaciuta allegria Rucker. Peter provò una forte sensazione di conforto interiore nel vedere il familiare volto da Jerry Lewis dell’amico, proprio come quando, dopo l’abbraccio con la moglie, l’aveva scorto a poca distanza da lui.

Per quasi tutto il giorno aveva fatto in modo di essergli vicino e rendere l’interrogatorio con gli inquirenti il meno stressante possibile. Non sapeva nulla di quanto accaduto a Mansel e il poliziotto di mezza età si era guardato bene dal dirgli qualsiasi cosa perché non voleva in alcun modo turbarlo.

“Sai, piaceva anche molto a mio zio Ben e a mia zia May. Adoravano passare il Giovedì sera a guardare il loro show preferito in tv, seduti proprio su quel divano.”

“Roba solida e confortevole allo stesso tempo. Non la fanno più così.”

“Appartiene all’epoca pre-Ikea.” I due si scambiarono un sorriso d’intesa.

“Papà anche a me piace tanto il divano.” Fece piena di allegria la piccola May.

“Oh, lo so! Specie quando ci sono seduto io e ti diverti a farmi gli scherzetti mentre leggo o guardo la tv.” Fece in tono di finto rimproverò che le strappò una risata cristallina e carica di felice serenità. Rucker osservò la scena provando una benevola invidia per quello che il ragazzo aveva e pregò perché potesse conservarlo per sempre.

 

Peter l’aveva accompagnato alla porta ed ora stavano entrambi sotto il porticato a guardare il cielo stellato. Era limpido, ampio, carico di luci che ardevano o avevano arso a vite e vite di distanza. L’aria era calma, agitata solo leggermente da un piacevole vento notturno e dai roseti, le azalee e i piccoli meli piantati ai lati dei marciapiedi si spandeva un odore di fresco forse un po’ troppo insistente ma indubbiamente buono.

Rucker si ritrovò a pensare ai bei tempi in cui anche lui aveva conosciuto la quieta e composta felicità del vivere in un posto del genere, quando si poteva anche permettere il lusso di trovarlo un po’ noioso ogni tanto. Allora c’era il Bowling il Venerdì sera con George, Arthur e  gli altri. C’erano il ristorante, la pista da ballo e l’alberghetto che aiutavano lui e sua moglie a ricordare quando erano stati fidanzati appassionati. C’erano i figli, i rumori dei lori giochi, il chiasso delle partite di football nel giardino, loro due che li rimproveravano, che poi giocavano con loro e li abbracciavano.

C’era davvero stato tutto questo? Si ritrovò a chiedere. Silenziosamente si era sempre rimproverato di aver lasciato che non solo quella tragedia ma anche che i suoi demoni interiori  glielo avessero portato via. Aveva veramente lottato per salvarlo?

“Tutto ok?” La mano di Peter batté una amichevole pacca sulla schiena alla quale lui rispose con il suo occhiolino malandrino. Dopo tutto quegli anni e quel dolore era ancora il pestifero monello di una volta e non contava quante ne avesse viste o quante sapeva essere destinato a vederne ancora.

“Sai perché si dice ok?” Chiese lanciando un allegra sfida.

“Cos’è? Lascia o raddoppia? Va bene, fammi pensarci un po’ sopra. No, non lo so proprio.”

“Durante la guerra civile, quando le truppe tornavano agli accampamenti si usava scrivere su di una lavagna il numero dei caduti in battaglia. Quando non era deceduto nessuno si scriveva 0 killed e da qui l’espressione di o.k. per indicare che tutto va bene.”

“Oh! E tu sai da dove viene il termine fuck?”

“Mhhh… no emerito dottore, non le so rispondere.”

“In Inghilterra, anticamente, per avere regolari rapporti sessuali si doveva chiedere l’autorizzazione del Re, eccettuato i membri, termine quanto mai appropriato, della casata reale, e dunque che voleva fare figli doveva fare regolare richiesta. Sulla porta delle case di chi aveva ricevuto il permesso veniva fatto affiggere un cartello con su scritto: Fornication Under Consent of the King; o più brevemente F.U.C.K.”

“Ma guarda un po’ ‘sti inglesi! Chi l’avrebbe mai detto.”

Ridacchiarono un po’ e passarono qualche istante in silenzio.

Rucker avrebbe voluto dirgli tante cose. Avrebbe voluto scusarsi con lui per avergli consigliato di assecondare le richieste del P.H.A.D.E. e averlo di fatto allontanato di casa per così tanto tempo. Voleva scusarsi anche di non essere riuscito a scoprire nulla di nuovo sul conto di tale organizzazione né su quello di Daphne Milles. Invece si ritrovò a contemplare per un paio di secondi la mano che Peter gli stava tendendo e che strinse con energico calore.

“Grazie per aver badato alla mia famiglia mentre ero via.” Disse il ragazzo. Sentì un groppo alla gola. Non disse nulla. I due amici si abbracciarono con affetto e poi si separarono con la promessa di vedersi presto.

 

 

 

Aereo della Pan Am in volo intorno all’aeroporto J.F.K. di New York – Alcune ore prima.

 

 

L’aereo ebbe un paio di sobbalzi che non poterono non preoccupare Peter. Il giovane era intento all’ascolto delle ultime istruzioni che i controllori di volo gli stavano impartendo dalla torre di controllo.

“Ci siamo.” Asserì quello.

“Ci siamo.” Ripeté con convinzione Peter.

“Sai, prima di portare a termine questo folle viaggio, ci tenevo a dirti che sono stato davvero felice di conoscerti. Sei una persona davvero speciale signor Parker.”

“Grazie. Contraccambio. Però  da come lo dici pare che tu debba non rivedermi mai più.”

“Non sarà così? Dopo che saremo atterrati mi porteranno via.”

“Se sei stato incriminato di qualcosa ci sarà pure un processo ed io verrò a testimoniare in tuo favore. Dovranno tener conto di quanto hai fatto salvandoci la vita a tutti.”

“Non so quanto saranno ben disposti nei confronti. Sono considerato un terrorista e per di più mutante.”

“Ho un amico avvocato. Potrebbe darti una mano se non hai già un tuo legale.”

“Dovrà essere molto bravo per dare una mano a me.”

“Oh, lo è. Altroché se lo è.”

“Peter.”

“Si?”

“Tu hai famiglia?”

“Una moglie ed una figlia, entrambe meravigliose. Lo sono così tanto che mi chiedo cosa abbia  fatto io per meritare due simili gioielli. Tu?”

“Non più.”

“Mi dispiace.”

“Ormai è successo da tanto tempo. Me ne sono fatto una ragione.”

“Hai una persona speciale nella tua vita? Una ragazza?”

“Si, l’avevo. Praticamente mi ha consegnato lei alle autorità.”

“Credo di aver toccato il tasto sbagliato.”

“Non preoccuparti. Non è colpa tua. La vita va così delle volte e noi non possiamo far altro che accettarla per quello che è. Sai, sul fatto che non sono un assassino hai ragione così come sul fatto che voglio vivere. Ho ucciso, te lo confesso ma non volevo farlo, te lo giuro. Non so perché ti stia parlando di questo proprio ora. Non ha senso ma sento che devo confidarlo a qualcuno e penso che tu sia l’unica persona che possa capire.”

Peter Parker lo fissò con grande serietà e sincera comprensione e con un cenno del capo lo invitò a proseguire. Leonard parlò, la voce tremante, rotta non solo da una bruciante tristezza ma anche da un rimorso che doveva averlo lungamente tormentato.

“Non posso dire che fu un incidente perché sapevo che stavo facendo qualcosa di pericoloso. Sono responsabile, non lo nego. Non voglio convincerti che non avevo colpe ma non volevo uccidere nessuno, questo no. Credimi. Non c’è stato un solo, maledetto giorno in cui non abbia desiderato poter tornare indietro e cambiare quanto era stato fatto e ridare la vita a quell’uomo ma non posso farlo ed ora mi porterò per l’eternità questo peso dietro.”

“Per questo la tua ragazza ti ha consegnato alla polizia?”

“No. Mi ci ha consegnato perché mi ero rifiutato di uccidere ancora e pensava che fossi divenuto un peso morto. Posso chiederti come si chiamano tua moglie e tua figlia?”

“Mary Jane e May. Mise mano al portafoglio e ne estrasse una foto scattata a Central Park che portava sempre con sé. Era stata una bella giornata quella, la prima gita di May a Manhattan e gliela mostrò con orgoglio. Eccole. Queste sono i miei tesori, quanto di più prezioso io possieda.”

“Complimenti. Sono entrambe molto belle e tua figlia sembra essere proprio un peperino vispo e furbetto.”

“Grazie.”

“Per cosa?”

“Perché mi stai riportando da loro.”

Leonard sorrise e disse:

“Coraggio, assicurati che le cinture siano ben allacciate. Stai per tornare a casa.”

“Lo so.” Affermò con grande sicurezza Peter.

 

 

Fine dell’episodio.